03 gennaio 2023

Cosa un bambino e una bambina sanno fare se… nuovi contesti educativi per nuove forme d’inclusione e modi d’essere inclusivi

Da tempo, nelle famiglie e nei servizi che accolgono i bambini e le bambine dalla nascita ai sei anni ha iniziato a riecheggiare un nuovo termine che apre lo sguardo a nuovi contesti educativi; probabilmente, anche voi lettori, quando lo scoprirete direte: “Ma si certo!  Anch’io l’ho sentito nominare oppure… Si! Me ne hanno parlato”. 
Sveleremo ai vostri occhi il misterioso vocabolo partendo dal suo significato, custodito nei fini che la sua realizzazione vuole raggiungere, ovvero: “garantire ai bambini e alle bambine dalla nascita ai sei anni pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, superando disuguaglianze, barriere territoriali, economiche, etniche e culturali.
Giunti a questo punto non ci resta che nominarlo, il termine a cui ci riferiamo è: “Zerosei” che nel linguaggio istituzionale si trasforma in: “Sistema integrato Zerosei”. Partendo dall’idea che “ciascun bambino e ciascuna bambina è un soggetto unico e irripetibile, con una propria relazione col mondo ed una storia personale che prende forma nel contesto familiare e a partire da esso, nell’ambiente sociale” le linee pedagogiche Zerosei  sostengono l’importanza: di poter offrire al bambino e alla bambina risposte individualizzate, di fargli fare esperienze significative che tengano traccia dei percorsi personali di sviluppo e di concorrere a ridurre gli svantaggi attraverso interventi personalizzati e un'adeguata organizzazione degli spazi e delle attività, che favoriscano l’accoglienza di bambini/e con disabilità e la creazione di contesti inclusivi; inoltre le linee, dichiarano l’importanza di sostenere la primaria funzione educativa delle famiglie attraverso l’alleanza educativa con i genitori. Il 27 ottobre 2022, in occasione del convegno “Educazione Zerosei: sistema integrato ed innovazione pedagogica”, voluto dal comune di Milano e nello specifico dall’assessorato all’Istruzione, il Comune di Bergamo è stato invitato per raccontare, attraverso le parole dell’Assessora Loredana Poli, la sperimentazione avviata e le future strade percorribili; in quest’occasione cariche istituzionali provenienti da diverse regioni, dirigenti, pedagogisti, coordinatori e altri professionisti hanno avuto l’occasione di dialogare e confrontarsi sulle esperienze vissute da ciascuna realtà e rispetto a quali potrebbero essere i futuri passi comuni.
Il Convegno è stato importante anche perché ha permesso ai Nidi di Bergamo, rappresentati dalle coordinatrici, di raccontare cosa voglia dire per i nostri servizi essere e sentirsi inclusivi; nella quotidianità dei nidi della nostra città l’inclusività non è la novità dell’oggi, ma una compagna di viaggio che nella nostra visione attraversa sia l’idea di bambino e bambina nella sua unicità, alla base del nostro agire, sia l’importanza che diamo alla creazione di relazioni significative che contemplano il prendersi cura. 
È attraverso la relazione di cura, quella a cui noi teniamo particolarmente, che il bambino e la bambina possono esprimersi e raccontare di sé. L’educatrice nella relazione osserva il bimbo e la bimba con una mente aperta alla novità ricercando i punti di forza o di fragilità che ciascun bambino/a porta con sé. Seguendolo/la ed osservandolo/la con “Nuovi Occhi”, come ci diceva Grazia Honegger Fresco durante i momenti di formazione, abbiamo preso sempre più consapevolezza che non esiste un semplice bambino come in natura non esiste una semplice libellula. Affinando lo sguardo siamo arrivati così a sentire che non c’è una libellula uguale all’altra, che non c’è un bambino uguale all’altro, ma persone, sguardi e contesti.
È di questo che ora vorremmo raccontarvi, di come i contesti dei nostri servizi hanno accolto e accolgono tutt’ora le libellule ed i bambini e le bambine.
Cosa succede quando questo bambino/a unico, questa speciale libellula arriva in uno dei nostri nidi? Come ci prepariamo a questo incontro? Cosa significa per noi essere un nido inclusivo? Quali pratiche concrete attuiamo quotidianamente?  Nei nostri gruppi di lavoro abbiamo avviato numerose riflessioni attorno alla preparazione di questo incontro, ogni volta nuovo, ogni volta diverso, all’arrivo al nido di ciascuno e di tutti, al coesistere delle diversità, al tenere insieme la dimensione della personalizzazione e quella sociale. Siamo professioniste sempre in ricerca, abbiamo bisogno di sederci attorno ad un tavolo e riflettere, facciamo un lavoro meraviglioso ma altrettanto faticoso, che merita tempo e riflessioni accurate.
Ci prepariamo all’incontro pensando ad ogni bambino come ad un ospite speciale; proprio come potrebbe capitare anche a voi quando invitate a cena una persona molto importante. Immaginiamo che prepariate la vostra casa con cura, mettiate in ordine, pensando proprio a lei e a quello che può farla stare bene, a suo agio, accolta.
Ecco, questo è quello che facciamo nei nostri servizi: pensiamo, progettiamo e prepariamo spazi e materiali che vogliono essere accoglienti, facilitanti, personalizzati e nello stesso tempo fruibili e spendibili dal gruppo di bambini che li abitano.
Com’è accaduto in occasione dell’arrivo di Miriam, una bambina entrata a pochi mesi in uno dei nostri nidi nel 2016: osservazioni accurate e un lavoro di rete, con la famiglia e con i professionisti che già conoscevano la bambina e la sua storia, ci hanno permesso di farle trovare fin da subito spazi e materiali facilitanti e confortevoli per lei. Abbiamo scoperto che Miriam era ipovedente, ma che riusciva a vedere le ombre e che il contrasto bianco-nero poteva per lei essere d’aiuto: ecco allora che è nata l’idea di un campanellino all’interno del suo armadietto, per renderle riconoscibile l’arrivo al nido attraverso il suono all’apertura dell’anta da parte della sua mamma; di un tappetone a strisce bianco e nere che lei potesse riconoscere per esempio mentre cercava di spostarsi; di un mobile sopra al fasciatoio con le serigrafie positivo-negativo di Bruno Munari. È stato un lavoro che non si è mai concluso una volta per tutte, ma sempre in evoluzione: gli spazi e i materiali crescevano e si modificavano con il crescere e modificarsi di Miriam.
L’educatrice nei nostri nidi parte dall’osservazione di ciò che ogni bambino e ogni bambina sa fare ed è chiamata ad inserirsi con il suo intervento in ciò che ogni bambino sa fare “se”, aprendo al campo delle possibilità.
Da qui l’importanza da noi dedicata ed investita nella ricerca delle condizioni che possano rendere un ambiente inclusivo per quel bambino all’interno del gruppo, quella cosa pensata e realizzata proprio per lui, per rispondere alle sue competenze, ai suoi bisogni e per sviluppare le sue potenzialità, ma nello stesso tempo risorsa per il gruppo. Nella quotidianità che viviamo nei nostri servizi cerchiamo di creare contesti che contemplino quella che Dario Ianes definisce “speciale normalità”. La speciale normalità è una condizione di sintesi tra specialità e normalità, che le contiene e le supera entrambe: la normalità si arricchisce di specificità non comuni, di peculiarità, di risposte tecniche particolari; la specialità va ad arricchire le normali prassi, ne penetra le fibre più profonde e le modifica, le rende più inclusive e rispondenti ai bisogni.
C’è un’altra caratteristica fondamentale dell’incontro: il nostro bambino-libellula non arriva al nido da solo, ma con la sua famiglia e, come ben sottolineato dagli Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l’infanzia, non ci può essere educazione senza un’alleanza con la famiglia. “All’interno di un servizio educativo si può educare solamente a partire dalla costruzione di un rapporto di ascolto, dialogo e alleanza con la famiglia. La famiglia è infatti il luogo di identità e appartenenza del bambino e svolge un compito educativo primario rispetto al compito del servizio educativo, che si pone come complementare e integrativo.”