21 novembre 2017

Costruire nuove strategie e nuove intese con le famiglie

Quando inizia un nuovo anno, dopo delle “belle vacanze ristoratrici”, per noi educatrici, educatori, coordinatori, ricominciano i pensieri, gli studi, il fare. Anche se hai ormai, più di vent’anni di esperienza, sembra che tutto riparta da capo.

Hai salutato qualche mese fa bambini e le bambine che hai imparato a conoscere a comprendere, bambini e bambine che ogni giorno per un anno interno e, forse anche di più, hanno saputo stupirti, meravigliarti, farti riflettere, farti fermare a osservare prima di agire, farti lavorare con sentimento.

È questa l’immagine che voglio dare ed il senso che ha per me il ruolo dell’adulto al nido: un adulto che accoglie, sostiene e dà sicurezza al bambino e alla bambina, ma che non si sovrappone a lui/lei, che sa osservare, attendere, che si dà il tempo per capire quando è il momento di accompagnare, incoraggiare, facilitare o di ritirarsi sullo sfondo per dare spazio alla libera scelta e all’autonoma organizzazione dell’attività del bambino e della bambina.

Da quando un bambino o una bambina entra al nido fino a quando, rientra a casa, gli educatori/trici dovrebbero essere “metronomi” molto discreti che, con molta tranquillità e delicatezza, si limitano a dare il tempo dell’alternanza tra momenti di gioco e di cura, nello scorrere della giornata.

L’educatore/trice non si pone, quindi, come animatore/animatrice del gioco dei bambini e delle bambine, ma come osservatore e regista, attento a modulare i suoi interventi di facilitazione, sostegno e mediazione delle relazioni e delle attività in cui i piccoli e le piccole sono impegnati.

L’educatore/trice si pone ed opera nei confronti del bambino e della bambina e dei suoi genitori, come  persona di riferimento che funge da garante della stabilità, della continuità e dell’individualizzazione delle cure del piccolo gruppo di bimbi e bimbe che accoglie e, di cui, media il graduale e progressivo allargamento della relazione con gli altri adulti della stanza e del nido.

Quanta strada abbiamo fatto per maturare e condividere questi concetti che sembrano scontati. Per questo che a volte quando le richieste, che arrivano “dall’esterno” sono insistenti e incalzanti ci fanno arrabbiare e ci rendono poco disponibili, perché noi sappiamo quanto lavoro necessita un ambientamento ben fatto.

Ogni cosa deve essere progettata, organizzata, pensata tutto parte dallo studio di uno spazio, dal saper costruire nuove relazioni dal saper accogliere dentro al proprio cuore un bambino e una bambina che non sempre e subito sappiamo comprendere.

Cosa chiedono le famiglie oggi? Cosa chiedono i datori di lavoro? Cosa chiediamo noi?

Il “mondo” di oggi ci chiede di rivedere delle cose di rivalutare degli aspetti e di saperli trasformare.

Alle educatrici è richiesto di operare e condividere i progetti con la  famiglia, sempre più variegata e articolata, sapendo cogliere con delicatezza e discrezione i vissuti di ogni nucleo familiare.

A partire dalla capacità di intuire e accogliere ciò che non sempre le parole riescono a confidare, le educatrici hanno il compito di affiancare padri e madri nell’esercizio di un ruolo ancora tutto da scoprire sicuramente straordinario, ma spesso contornato da grandi sensi di colpa.

L’educatore oggi deve conoscere –seppur a grandi linee- condizioni e dinamiche sottese ai micro e ai macroscenari sociali (per esempio precarietà economica e insicurezza sociale modificano i vissuti, le aspettative, gli investimenti, non solo finanziari, all’interno della famiglia e nei rapporti tra le famiglie, con le istituzioni e il territorio) è pertanto una condizione sempre più importante per comprendere le dinamiche interpersonali, per cogliere quanto si insinua nelle relazioni educative. La precarietà genera insicurezza e diffidenza.

Trascurando gli scenari sociali entro i quali si svolge la vita di una famiglia si corre il rischio di perdersi negli specialismi o di limitarsi a spiegazioni semplicistiche e riduttive, rispetto alla complessità dei problemi.

Bisogna saper costruire spazi di narrazione e ascolto nei confronti delle vicende familiari. Conoscere le storie delle famiglie significa offrire possibilità d’incontro e dialogo autentici, profondi, oltre le formalità di uno scambio legato ai ruoli dettati dal contesto, per farsi premurosi custodi dei vissuti sapendo incorniciare le vicende particolari di ognuno nelle dinamiche nuove e complesse di un sistema sociale che cambia continuamente e con grande velocità.

L’operatore che esprime una funzione educativa usa la propria posizione di esperto non per diventare istruttivo o per dare risposte materiali ai bisogni, ma per aiutare la famiglia ad auto-valutarsi, a ricercare attivamente le risorse esterne e a valorizzare quelle interne, a negoziare quelle soluzioni che tra le tante prospettabili, hanno maggiormente senso in quel momento della sua storia[1].”

Da un arricchimento delle chiavi di lettura utili a leggere il reale è possibile desumere strumenti operativi concreti, in grado di sostenere, migliorare, modificare le relazioni, persino di incidere sulla didattica e sulla pedagogia del nido, di favorire alleanze tra genitori e personale educativo. A partire dall’analisi delle criticità sociali –che sempre si riflettono sulle fragilità particolari di ogni famiglia[2]– è possibile individuare le priorità educative da assumere nel lavoro con i bambini. Priorità che non possono ignorare il contesto storico, sociale, e culturale in cui i bambini e le bambinee i genitori sono immersi. Solo la lettura critica della realtà che ci circonda fornisce gli strumenti per scelte educative consapevoli e ponderate.

Il personale educativo, pur senza recedere dal potenziamento di quelle conoscenze che nel tempo hanno fondato la propria professionalità, assume il compito di facilitatore del dialogo e promotore dei processi trasformativi[3] intra e inter-familiari. Il modello operativo che caratterizza i nidi d’infanzia passa così da un approccio centrato sul bambino e la bambina a uno che sostiene i genitori nella realizzazione del loro compito educativo[4].

Educatrici e educatori possono proporsi quali interlocutori autorevoli per le famiglie quando contribuiscono a mettere i genitori nelle condizione di essere buoni educatori. E questo è possibile non solo garantendo la cura educativa dei bimbi e delle bimbe, ma anche qualificandosi come attivi promotori di comprensione, in grado cioè di portare all’attenzione quelle connessioni che concorrono a rendere i soggetti maggiormente protagonisti del loro tempo.

 (L.C.,Coordinatrice Nidi Comune di Bergamo)

[1] Formenti L, Pedagogia della famiglia, Guerini studio, Milano 2000.

[2] Fruggeri L., Famiglie. Dinamiche e processi psicosociali, Carrocci Roma 1997, Fruggeri  L., Diverse Normalità, Carrocci Roma 2005.

[3] Pati L. Pedagogia sociale. Temi e problemi. La scuola Brescia 2007

[4] Musi E., Invisibili sapienze, edizioni Junior, Parma 2009