30 marzo 2021

Appello congiunto dei Garanti della Bergamasca

Come Garanti dell’infanzia e dell’adolescenza dei Comuni di Bergamo e Treviglio desideriamo condividere riflessioni e un appello per la riapertura delle scuole. Tutte. Dai nidi alle superiori.

La priorità va al diritto alla salute. Sicuramente. Ma la salute non è solo fisica, non è solo assenza di malattia, è anche equilibrio psicofisico e benessere personale. Ce l’hanno ricordato recentemente il CIAI (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia) e la Società Scientifica dei Pediatri di Famiglia (SICuPP) nei loro appelli a non confondere la dad con la scuola.

Quale equilibrio e benessere per i nostri bambini e bambine, ragazze e ragazzi con la chiusura delle scuole  su due anni scolastici? Se lo chiedono i nostri politici ed esperti in medicina, epidemiologi, infettivologi? Esperti di settore, appunto. Ma l’uomo è un essere intero, la persona non è a strati sezionabili. La concezione platonica prima e cartesiana poi di divisione tra anima e corpo, spirito e materia sopravvive ancora dopo la filosofia del ‘900? E’ più saggio, allora, tornare a un’idea biblica di persona intera, nefèsh in ebraico, respiro di vita. Ma quale vita stiamo dando ai nostri bambini, adolescenti e giovani?

Nessuna carezza, nessun abbraccio, nessun incontro in cui condividere pane e sentieri di montagna. Nessuna orchestra dal vivo ad accendere emozioni, né cinema né teatro ad animare creatività visionaria. Nessun museo in cui entrare e conoscere arte e poesia, perché è la bellezza che salverà il mondo. Nessuna scuola.

Fosse stato per un periodo, per l’emergenza improvvisa, allora ogni risposta avrebbe potuto essere quell’occasione che ha fatto dire a tutti “ce la faremo”.

Ma la vita chiusa e prolungata in uno schermo a rettangoli non si può chiamare scuola. Senza sguardi diretti proprio a te, a te che sei persona speciale e non uno qualunque tra molti pezzi di puzzle, nessuna parola di fiato vicino che faccia sentire, che arrivi al cuore-lev, sede dell’emozione e dell’intelletto, della sensazione e della mente, del ricordo e della comprensione.

Si è data ai nostri bambini e giovani una didattica a distanza. Due parole che nulla hanno a che fare con l’educazione, la pedagogia, la formazione della persona. Didattica, appunto, una metodologia, una tecnica, una fra molte che invece è diventata l’unica. Per un ulteriore distanziamento sociale. Insidiosi termini che portano a solitudine, chiusura, conflitto con sé stessi e con gli altri, e non ultima, disuguaglianza. Ce lo confermano i dati che vedono l’aumento all’accesso a sportelli di aiuto psicopedagogico per genitori e figli, e i dati più gravi dei ricoveri e cure per atti di autolesionismo tra gli adolescenti o di aggressività non canalizzata che esplode nelle strade. I costi sociali di questa lunga ed estenuante chiusura delle scuole saranno notevoli e per anni.

Scuola è passione, crescere insieme, misurarsi con gli altri, è palestra di relazioni, imparare la frustrazione e la rinascita, è trama di un tessuto sociale che si sviluppa. Riconoscenza va a quegli insegnanti che vogliono trattenere ancora per mano i propri alunni più piccoli e studenti più grandi per quanto possibile tramite uno schermo. E debito si deve alla tecnica che ha consentito un ponte con le case.

Il Ministro Bianchi ci ha detto che la scuola non si è mai fermata. Invece pensiamo che la scuola si sia fermata, signor Ministro. Questo perché immaginiamo, come lei Ministro -e crediamo alla sua sincera vicinanza-, che la scuola sia basata sull’affetto, come ci ha detto in una nota trasmissione di Rai3.

Proprio per questo le scuole vanno riaperte. In sicurezza certo. Ma è già da un anno che esse si sono attrezzate a ciò. Nella nostra provincia, anche i Comuni, la Prefettura e le associazioni di genitori si sono dati da fare per trovare soluzioni pure per i trasporti.

E se una recentissima sentenza del TAR Lazio (ordinanza del 26/03/2021) indica che l’apertura delle scuole non influisce sull’aumento generale dei contagi, che non esistono al riguardo prove scientifiche certe, allora agli esperti di medicina e ai politici chiediamo di tenere in debito conto questo pronunciamento e di guardare all’uomo sociale a cui vanno garantiti la vita e il benessere.

“Dall’analisi dei dati forniti dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità) si perviene alla conclusione che non esistono evidenze scientifiche incontrovertibili circa il fatto che l’aumento del contagio tra i soggetti in età scolastica sia legato all’apertura delle scuole”. Così si è espresso il Tribunale amministrativo. In più gli insegnanti ora sono vaccinati in percentuale sempre più in crescita e rendono la scuola ancora più sicura.

E’ ora che in aula ci siano tutti gli studenti e non solo sperduti docenti di fronte a banchi vuoti e a devices non sempre con connessione. Sono isolati e sperduti anche quegli alunni BES (con bisogni educativi speciali) e con diritto all’inclusione, per usare parole del gergo scolastico. Ma i ragazzi più fragili hanno bisogno di accoglienza, di amicizia, di voci e sguardi veri. Non di solitudine in aule vuote.

Un susseguirsi di note del ministero hanno prima incluso, poi escluso poi precisato che solo tali alunni e i figli di medici o di personale in lavori indispensabili potevano avere accesso a scuola. Ma quali i lavori indispensabili? Certo medici, infermieri, forze dell’ordine. E la cassiera che ci consente la spesa, le maestre in dad, le donne di Amazon, le madri che devono lasciare il lavoro per accudire i figli senza nidi, senza scuola? Poi è giunta la nota Miur del 12 marzo che ha consentito la presenza in classe solo di gruppi di alunni affinché i compagni bes potessero “continuare a sperimentare l’adeguata relazione nel gruppo dei pari, in costante rapporto educativo”. Ma ogni istituto si è regolato autonomamente, si è inventato oppure no gruppi e laboratori.

Ora Draghi annuncia che dopo Pasqua riapriranno le scuole dell’infanzia e le primarie. Bene. Ma è una parola poco decisa che esclude ancora una volta i ragazzi che hanno avuto meno scuola di tutti in questi due anni scolastici. Ci auguriamo un atteggiamento più determinato, altrimenti, quando e come potremo misurare i danni gravi, ancora non quantificabili in tutta la loro portata e in vari casi irreversibili, sui ragazzi e sulle loro famiglie? Sono gli adolescenti e i giovani i più penalizzati, poiché la scuola per loro è stata chiusa più a lungo. E non parliamo solo di danni nell’apprendimento e nell’educazione (che sono ben altro rispetto all’istruzione), ma anche quelli della socialità e dello sviluppo della personalità.

La giovinezza, età che noi adulti invidiamo e ricordiamo con nostalgia, per i nostri ragazzi di oggi è ben lontana dalle esperienze proprie di quell’età, tra gli amici, il gruppo dei pari, verso l’autonomia. Con quei momenti che Prévert racconta nella sua poesia “I ragazzi che si amano”. Un anno, per un adolescente, un giovane, è un tempo lungo, da vivere appieno con tutti i sensi…due anni ancor di più. “15 anni quasi 16 è la migliore età, per te l’amore è quasi un dovere”, cantava Julies Andrews in un noto film. A quando questo per i nostri adolescenti?

La dad è stata invasiva, è entrata nelle case e nell’intimità delle famiglie senza tuttavia conoscere né le relazioni né le dinamiche che in esse si sono prodotte, là dove ci sono più figli, dove non c’è connessione, dove qualcuno deve usare solo un cellulare, dove i ragazzi sono soli, dove i genitori si devono rassegnare a non dire più: basta sempre con questo cellulare, esci, vai a giocare una partita, prendi la bicicletta, vai all’oratorio, c’è un gruppo di volontariato che ha bisogno di te…

Il medium è il messaggio, ci ha avvertito Mc Luhan. Quale messaggio vogliamo dare ai nostri figli?

Per i nostri giovani dobbiamo difendere un concreto messaggio di speranza, un aiuto reale, un affiancamento di persona alla loro crescita. Garanti dell’infanzia e dell’adolescenza sono gli adulti che ci sono.

La scuola dovrebbe essere l’ultima a chiudere. Ne va della cultura, della società, della vita.

 

M. Nicoletta Sudati- Garante dell’infanzia e dell’adolescenza del Comune di Treviglio

Leo Venturelli- Garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del Comune di Bergamo